30 luglio 2015

mete dell'estate n. 2: Sfruzbourg


L’altra meta dell’estate, era la seconda patria, ovvero Sfruzbourg, nella valle delle mele, un luogo deturistizzato e misconosciuto. Una casetta in un complesso con aspirazioni turistiche degli anni ‘80, una camera con due letti a castello +1, intorno prati d’erba spagna, il bosco, le montagne sullo sfondo. Unici posti proibiti, il garage e le case in costruzione, per il resto, pure la strada era innocua, che passava forse una macchina al giorno, e giù da quella discesa d’asfalto scendevamo sullo skateboard o sul carretto di altri bambini sgrattuggiandoci le ginocchia. E l’abetone gigante aveva un ramo basso ad altezza bimbo, e tutti gli altri disposti a salire come una scala a chiocciola,  e mia madre a volte si affacciava alla finestra e trovava uno di noi quasi in cima, lo riconosceva dal Kway (quando il kway era solo una giacca a vento rossa o blu e non un capo d’alta moda di nylon da 400 euro) e credo perdesse 10 anni di vita.
Nelle case intorno c’erano ragazzini della nostra età. Ricordo corse e giochi nel campone di fronte a casa, ricordo l’addentrarsi nei rovi a prendere lamponi e scansare ortiche alte un metro e mezzo, la costruzione di archi, spade, armi con i rami di nocciolo, le passeggiate nel bosco con papà a prendere funghi sperando di vedere qualche gnomo, e poi ogni tanto il caminetto acceso perché da giungo ad agosto capitavano pure giornate fredde, che oggi tutti i giornali scriverebbero allarmati che sta arrivando la seconda glaciazione. Nei miei ricordi, tornavamo a casa solo per mangiare e lavarci alla sera, nel primo pomeriggio era gradito che stessimo fuori dai piedi fino alle 16,30, credo sia per questo motivo che i miei hanno acquistato una depandance sottoforma di taverna, dove noi potessimo fare (o fingere di fare) i compiti, giocare a non t’arrabbiare e arrabbiarci, litigare o comunque fare rumore molesto.
Ricordo alla sera, che nostro papà ci raccontava storie inventate da lui davanti al caminetto, come una illustrazione di un libro dei fratelli Grimm, il Cavaliere senza ombra e altre storie che purtroppo non andate perdute nella notte dei tempi. Oppure puliva i funghi che aveva raccolto nel bosco-unica attività fisica cui si dedicava nostro padre contando anche la famosa gita alla Malga-sempre la stessa tutti gli anni, fatta per puro senso del dovere, che in tre mesi di montagna almeno un picnic alla fine di una salita, bisogna farlo. Ci faceva vedere i porcini, e quel fungo che se lo tagli diventa blu. Poi, quando eravamo tutti pigiamati e lavati ci dava un goccino di Cocacola in tre bicchierini blu di plastica (noi primi tre fratelli, nati vicini, che abbiamo gli stessi ricordi della prima infanzia). Si andava a dormire e si sognavano altre avventure il giorno dopo, si programmavano costruzioni di casette nel prato, raccolte di lamponi, furti di fragole dagli orti, nascondigli per Guardie e Ladri.
Di sicuro mi sarò annoiata, forse, qualche giorno, ma non ricordo la sofferenza della noia. Si dava la caccia alle cavallette nel prato, si andava da soli giù in paese a prendere il calippo al Bar al Pino, dove c’era una signora grassa e buonissima, il bar era sempre quasi vuoto a parte le mosche lente che non avevano imparato come uscire, e non c’era un vero confine tra il bar e il salotto di casa della signora, che abitava di sopra, dove c’erano pure delle camere in affitto. Con gli altri bambini che venivano in vacanza nelle case-da-turisti vicino alla nostra, si giocava, si litigava, si ingaggiavano guerre, gare, si consumavano tragedie e avventure.
A Sfruzbourg alla domenica io e mi sorella ci mettevamo il vestito tirolese, non so perché c’era sta moda, tra la generazione dei miei genitori, di vestire le figlie coi vestiti tirolesi appena salivano sopra il livello del mare. Secondo me è una cosa anni ’60. Fino ai 12 anni mi sentivo una principessa, dopo mi sentivo un po’ disadattata. Tipo una che si accorge di essere uscita di casa con le pantofole. Mia zia Fiore, sorella gemella di mia madre, era andata oltre e vestiva pure il maschio con i lederhosen, ma d’altra parte li ha vestiti da marinaretti fino a 15 anni. 
Ma ovviamente, visto che adesso sono io la madre, ripropino alle mi figlie i vestiti tirolesi, che-da madre- adoro. Uno l’ho pure fatto io, praticamente il prodotto della macchina da cucire che mi è riuscito meglio nella mia vita. A Mario imporrò sadicamente il ledehosen del cuginetto, fino a tre anni è consentito dalla legge.

Sfruzbourg è la nostra patria, la patria della nostra infanzia, ed ora quella dei nostri Fantastici, nonostante un po’ di cose siano cambiate, anche se preferisco non farne l’elenco, perché ora loro hanno i loro luoghi magici, i loro percorsi e storie da raccontare.

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